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domenica 11 dicembre 2011
"Buone feste" da Diego Galdino
17:57 | Scarabocchio di
Unknown |
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Buona Domenica a tutti.
Oggi, con un po di ritardo, apriamo la finestrella dell'11 Dicembre.
Ringraziamo tantissimo l'autore di questo racconto che, nonostante sia super impegnato, è riuscito a trovare un pò di tempo anche per noi!
Grazie a ...
Diego Galdino, è nato nel 1971 a Roma, dove vive. E' appassionato di cinema e letteratura straniera, sopratutto anglosassone. Ha pubblicato i romanzi Leonor con il quale ha vinto il premio nazionale "Un libro per l'estate" e il premio "Città di Pizzo" per la letteratura, il mondo di Christina, Una casa a metà, Il cardo di Yosemite, L'osservatore di foglie, Ho baciato una strega e Wiccan in love (nostra recensione qui).Si è già distinto, per riscontro di critica e pubblico, come una delle voci più interessanti della narrativa italiana contemporanea. Ha vinto dei premi per la sua scrittura nostalgica e pregna di emozioni, è stato anche intervistato in tv durante trasmissioni del calibro di Uno Mattina, ed è stato riconosciuto da critici ed esperti come una delle penne più promettenti d’Italia.IL SUO SITO: http://www.diegogaldino.it
Ora lascio la parola a Diego e ai suoi auguri di BUONE FESTE
(cover creata da Fine e Sogno)
Essere scelto come l’addetto alla raccolta dei rifiuti abbandonati sulla spiaggia la vigilia di Natale non era un bel modo d’incominciare la mia avventura come volontario del WWF. Mai avrei immaginato che tra gli ecologisti vigesse una gerarchia di stampo militare, in base alla quale, all’ultimo arrivato venissero assegnati i compiti più ingrati, nei giorni delle festività natalizie. Tant’era e quindi, armato di paletta e secchiello, presi a cuore il mio primo incarico e mi avviai sul posto indicatomi, con l’intenzione di fare per l'intero pomeriggio avanti e indietro lungo la spiaggia. Quando avevo detto alla mia famiglia che durante le vacanze di Natale, per fare qualcosa di diverso, mi sarei iscritto come volontario al programma del WWF “salviamo le nostre spiagge” mio padre, orgoglioso della scelta idealista e pregna di valori del suo stimatissimo figlio, aveva prima sogghignato e poi, dando di gomito a mia madre, aveva esclamato tronfio: “Ti sei innamorato di un’ecologista? Già, perché, per mio padre, forse un po’ per la sana invidia della terza età, la vita dei giovani maschi d’oggi girava intorno solo a due cose: le ragazze e le ragazze. Indi per cui, solo una ragazza poteva essere la motivazione per la quale il suo scellerato figlio rinunciava ad andare in vacanza sulla neve, con il gruppo storico dei suoi amici, per restare a girovagare in pieno inverno su una spiaggia alla ricerca di qualche reperto archeologico d’immondizia rimasto sotto la sabbia dall’ultima estate.
Così, quando gli spiegai che la mia illuminazione stile ‘figlio dei fiori’ non era dovuta a un’avvenente compagna di classe né ad una canzone di Bob Dylan, ma semplicemente ad un intervento incentrato su come i rifiuti stanno distruggendo l’eco sistema del nostro paese di una volontaria del WWF amica della nostra prof di biologia, mio padre proruppe nel suo grido di battaglia stile Cesare Cesaroni: “Ma almeno era bona sta volontaria?”
La spiaggia, dove i miei colleghi più anziani del WWF avevano segnato con strisce di nastro colorato il punto esatto dove avrei dovuto iniziare a compiere il mio dovere di matricola, erano due chilometri abbondanti di finissima sabbia, intervallata qua e la da rocce e cespugli di piante rese avvizzite dal freddo e dal vento che in quei giorni di metà Dicembre stava sferzando la costa. La mia convinzione che, visto il periodo poco adatto a pic-nic e falò sulla spiaggia, quella che stavo per iniziare si sarebbe rivelata solo una passeggiata in riva al mare alla ricerca del niente, purtroppo si disintegrò davanti alla dura realtà. Ossia che le cose da raccogliere e buttare nel cestino dei rifiuti non erano i resti lasciati sulla spiaggia da orde di persone maleducate e assolutamente indifferenti all’ecosistema del pianeta in cui abitavano, ma quantità industriali di rifiuti gettati in mare che, spinti dalle maree, ogni giorno raggiungevano il bagnasciuga contaminando a più non posso quell’angolo di paradiso. Per giungere alla spiaggia, bisognava attraversare uno stretto sentiero tra le rocce, che ne rendeva impervio il percorso di avvicinamento. Circondata da falesie di gesso e marne calcaree, la spiaggia era nascosta alla vista da una fitta vegetazione che ne copriva i contorni donando a chi vi giungeva davanti, un inaspettato paesaggio da giardino dell’eden. Come mi avevano consigliato i miei superiori avevo con me un’enorme lampadina tascabile, da usare per tornare indietro senza finire in qualche burrone, nel caso la notte mi avesse colto di sorpresa nell’adempimento delle mie funzioni. Salito in cima ad un costone di roccia che dominava la spiaggia, mi sedetti a riposare un attimo su un enorme sasso che il processo d’erosione aveva trasformato in un curioso sedile di pietra.
Contemplai pensieroso il mare limpidissimo, talmente tanto da potervi guardare attraverso e scorgere i pesci che guizzavano fra le alghe colorate di un verde dalle tonalità diverse, ma la mia deformazione professionale di volontario ligio al dovere spostò la mia attenzione su un contenitore di plastica che nuotava allegramente verso la riva. Lì, seduto sul mio cuscino in stile Antenati, scoprii che davvero la potenza è nulla senza il controllo se una semplice boccetta di plastica poteva deturpare un intero chilometro quadrato di un paesaggio di rara bellezza. Già, per quel residuo dell’inciviltà umana io ero diventato il re del nulla e, dentro di me, osservai con gli occhi del mio sconforto la desolazione del mio regno e immaginai per un lunghissimo secondo, di volare, di saltare come l’attore Robin Williams ‘al di là dei sogni’per andare a liberare il mio regno da quell’indegno intruso. Ma una volta riaperti gli occhi, mi resi conto che non ero il Robin Williams del film e che per ripulire il mare mi sarei dovuto alzare e scendere di nuovo alla spiaggia. Per togliermi almeno dalla bocca, il sapore amaro di quella scoperta, tirai fuori dal mio marsupio uno snack al cocco e lo mangiai mettendo con attenzione un piede davanti all’altro lungo il sentiero sconnesso. Quella dolcezza ingerita m’implose dentro, dallo stomaco al cuore e poi su, fino al punto del mio cervello, che in quel momento sollecitava a pieno regime la mia delusione. Giunto alla spiaggia osservai la natura circostante immersa in un’assenza di rumori quasi irreale. Ma improvvisamente il silenzio fu rotto da un calpestio di piedi sulla battigia che mi fece voltare immediatamente per vedere chi disturbava quella quiete assoluta. Fu così che, davanti ai miei occhi, si materializzò una sinuosa ragazza dai lunghissimi capelli al vento che correva verso di me e alla quale mancava solo la torcia olimpica per farmi credere di essere finito nel posto sbagliato al momento sbagliato. Man mano che la donna bionica si avvicinava, riuscii a scorgere con maggiore chiarezza il logo che campeggiava sulla sua maglietta…un panda.
A Sofia era sempre piaciuto correre in riva al mare nei mesi più freddi dell’anno, lo faceva fin da quando aveva iniziato a frequentare l’Istituto d’arte. Coltivava questa passione per la corsa non per un fatto agonistico, anche se il cronometro aveva sempre segnato tempi da atleta professionista, bensì perché così facendo poteva restare sola con se stessa a pensare.
Riportò lo sguardo sulla spiaggia deserta, il ritmo che aveva preso era quello giusto e in breve tempo avrebbe rotto il fiato. Dei gabbiani volteggiarono sulla sua testa accompagnando con il loro richiamo in falsetto il lento sciabordio delle onde. La cosa bella di avere una spiaggia tutta per sé, era il fatto di poter correre senza prestare troppa attenzione a dove metteva i piedi. Immaginò come poteva apparire quella spiaggia nel periodo estivo. Quel posto sarebbe stato invaso da bagnanti con al seguito ogni tipo di accessorio balneare, coprendone per intero ogni centimetro quadrato. Ciò l’avrebbe costretta a correre sulla strada con il rischio di essere tirata sotto da qualche automobilista distratto intento a godersi il paesaggio.
Sofia adorava correre sulla sabbia, ma non quella farinosa e asciutta, bensì quella compatta e senza imperfezioni del bagnasciuga, lavorata in continuazione dal movimento costante delle maree. Essa era talmente soffice da fare in modo che il corridore non battesse con forza la pianta dei piedi creando dei piccoli traumi alle ginocchia come spesso accadeva correndo sul duro asfalto della strada. Mentre diminuiva l'andatura per riprendere fiato, scorse, non molto distante da lei, una persona che in riva al mare teneva in mano la paletta e il secchiello per raccogliere i rifiuti, marchio di fabbrica delle reclute del WWF. Per completare l’identikit del perfetto ultimo arrivato il ragazzo portava dei jeans sbiaditi e la felpa del WWF rosso vinaccio che non voleva nessuno e che per questo motivo era data a chi non la poteva ancora rifiutare.
Feci un profondo respiro, trattenendo l'aria per qualche secondo prima di espirarla fuori. Con una mano mi asciugai le gocce di sudore che colavano ai lati delle guance e quando l'immagine della ragazza non fu più sfocata, volsi gli occhi verso l'acqua con fare indifferente. Quando quel pomeriggio ero arrivato sulla spiaggia, il mare era di un colore blu lucente, ma ora illuminato dalla luce del sole che piano, piano si avvicinava al suo twilight, l’acqua era diventata di un colore indefinito e quindi il contenitore di plastica bianco che galleggiava allegramente come se quello fosse sempre stato il suo habitat naturale si notava ancora di più. Arrivata a pochi passi da me, la ragazza si schiarì la voce con un colpo di tosse per attirare la mia attenzione, ignara che io la stavo aspettando. Girai la testa di scatto e sorridendo impacciato, alzai una mano in segno di saluto.
"Buongiorno, vedo che non sono il solo a vagare sulla spiaggia."
Sofia allungò una mano verso di me presentandosi.
"Già, piacere, io sono Sofia."
Posai il secchiello sulla sabbia e strinsi la mano di Sofia, piegando la testa a mo d’inchino.
“Marco raccoglitore di rifiuti al suo servizio!”
Sofia sorrise lasciando la mia mano.
“Non te la prendere è toccato anche a me la prima volta.”
“Che eri un’anziana l’avevo capito dal colore della tua felpa, scommetto che la mia la portavi tu l’anno scorso.”
Sofia scoppiò a ridere, una bella risata, che risuonò nell’aria confondendosi con il rumore delle onde. La guardai con attenzione e non potei fare a meno di apprezzare il suo fisico mozzafiato.
"E’da tanto che corri?"
"Da circa un'ora."
A quella risposta toccò a me scoppiare a ridere.
"Intendevo quand'è che nella tua vita hai deciso di darti alla corsa?"
Sorrise imbarazzata e annuì alzando gli occhi al cielo.
"Perdonami, ma quando mi fermo il cervello è la cosa che fatica di più a riprendersi. Ho incominciato a correre durante il primo anno di superiori e non ho più smesso."
"Tipo Forrest Gump. Corri Forrest! Corri!"
"Più o meno, ma a differenza sua a ping pong sono una schiappa."
Ridemmo entrambi, riportando lo sguardo sulle onde che man mano che saliva la marea si stavano avvicinando sempre di più al lembo di spiaggia dove eravamo noi.
Sofia indicò il contenitore di plastica che sospinto da un’onda più grande delle altre arrancava ormai sul bagnasciuga.
“Ti conviene prenderlo adesso prima che un’onda lo riporti in mare.”
Tornai in me, ricordandomi del motivo per il quale tenevo in mano quel ridicolo secchiello.
“Hai ragione, anche perché ho come l’impressione che la temperatura dell’acqua in questo momento non sia l’ideale per un salvataggio in mare. Sono un tipo freddoloso.”
Stando attento a non bagnarmi le scarpe, con un lungo bastone raccolsi il naufrago che a quanto diceva, quel che restava di una scritta ormai sbiadita, doveva chiamarsi ‘Uloso’ e lo infilai nel mio secchiello.
“Ecco fatto! Senti poiché ora grazie a me la spiaggia brilla come uno specchio, ti andrebbe di metterti seduta ad aspettare insieme a me l’arrivo del tramonto?”
Sofia fece finta di pensarci su, poi sorridendo, si sedette accanto a me.
“Beh! Di solito non do molta confidenza agli ultimi arrivati, sai ne va del mio prestigio di anziana, ma per te farò un’eccezione. Giusto perché hai salvato la spiaggia da quel mostro che adesso è rinchiuso nel tuo secchiello.”
“Sono davvero commosso dalla tua generosità, anche se in questo momento mi sento come il gobbo di Notre Dame.”
Iniziai a scavare una piccola buca nella sabbia fino a quando non trovai un piccolo pezzo di vetro blu trasformato, dal tempo trascorso a strofinarsi tra la sabbia, in un brillante gioiello a forma di goccia. Lo presi e dopo averlo pulito con un lembo della mia felpa lo porsi a Sofia.
"Souvenir signorina Esmeralda?"
Sofia aprì il palmo della mano per ricevere il mio pseudo - prezioso dono.
"E' sempre bello avere qualcosa che ti possa ricordare un ragazzo di cui ti eri perdutamente innamorata, non credi?"
Dissi quella frase poggiando il pezzetto di vetro sul palmo della sua mano per poi richiudergliela lentamente.
Un gabbiano passò sopra le nostre teste emettendo il suo inconfondibile suono e si diresse verso l'orizzonte planando a tutta velocità sul pelo dell'acqua resa rossiccia dagli ultimi raggi del sole.
Sofia mi sorrise, infilando il mio regalo nella tasca della sua felpa.
“Non me ne separerò mai, promesso. Peccato che quel ragazzo, mi abbia lasciato per mettersi insieme ad un suo compagno di scuola.
Lo sguardo di Sofia si perse in un punto imprecisato del mare, mentre con una mano cercava di coprirsi la bocca per non scoppiare a ridere.
“Però, sei spiritosa, a saperlo non ti avrei mai lasciato per mettermi insieme a Franco.
Sofia si alzò in piedi, togliendosi con le mani la sabbia che aveva sui vestiti, per poi lanciare un’ultima occhiata alla scatola di plastica che ora giaceva inerme nel mio cestino per i rifiuti.
“Delle volte basta così poco per rovinare tutto, per distruggere ciò che la natura ha voluto donarci.”
Detto questo Sofia indicò il secchiello.
“Quando ho iniziato a fare volontariato per il WWF mi hanno mandata in un’oasi naturale dove le tartarughe marine vanno ogni anno a deporre le loro uova. Un’estate a causa di uno sbalzo della temperatura le uova si schiusero una settimana prima della data prevista dai biologi. Davanti al sito dove le uova erano state deposte la mareggiata, quella notte, aveva lasciato un enorme sacco di plastica. La metà delle tartarughine, una volta uscite dalle uova, mentre cercavano di raggiungere il mare ci sono finite dentro e sono morte soffocate. La mattina dopo sono stata io a trovare i cadaverini delle tartarughe mentre facevo jogging sulla spiaggia. E’ stato orribile. Da quel giorno invece di correre all’alba cominciai a correre al tramonto, per avere modo di controllare che sulla spiaggia non ci fosse nessun rifiuto che potesse mettere in pericolo la vita delle altre tartarughine ancora chiuse dentro le uova, nel caso si fossero schiuse prima del previsto.”
Mi tirai su e prendendo il secchiello guardai Sofia con aria seria, poi le sorrisi e iniziai a camminare sul bagnasciuga mentre nel cielo appariva la prima stella della sera.
“Per sicurezza faccio un altro giro. Ci vediamo il giorno dopo Santo Stefano, stessa ora, stesso posto.”
Sofia annuì e portata una mano alla fronte mi fece il saluto militare.
“Il 27 Dicembre arriveranno i nuovi volontari, ci sarà qualcun altro a fare questo lavoro da pivello.”
Mi fermai e giratomi le feci spallucce.
“Vorrà dire che dal 27 Dicembre inizierò a correre insieme a te. Buon Natale Sofia.”
Il viso di Sofia si sciolse in uno splendido sorriso.
“Buon Natale Marco.”
Quando lasciai Sofia per riprendere il mio giro di perlustrazione ero sicuro che mio padre in quel momento, se avesse potuto vedermi, sarebbe stato orgoglioso di me…e non perché Sofia ‘era bona’!
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Grande Diego Galdino, sto leggendo proprio questi giorni "ho baciato una strega"! Leggo con piacere anche questo tuo racconto allora ;)
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